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Palermo: Orlando offre cittadinanza onoraria a Borrometi

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Nel pomeriggio di ieri, nella splendida location del Real teatro Santa Cecilia, a Palermo, una sala gremita ha assistito alla presentazione del libro “Un morto al giorno”, di Paolo Borrometi.

Giornalista d’inchiesta che da anni denuncia fatti e persone legati alla mafia, Paolo racconta, senza mai lasciarsi intimidire, la realtà culturale mafiosa di una Sicilia che cambia lentamente, in particolare nei territori che insistono tra Ragusa e Siracusa. “I suoi articoli spiegano nel dettaglio le connessioni tra il potere politico e la criminalità organizzata”, così recensisce The New York Times che si è interessato al giornalista siciliano. Borrometi non ha paura di far chiarezza con nomi e cognomi. La sua trasparenza professionale, l’etica e il bisogno di sposare la verità come bene comune, in un Paese per certi versi contraddittorio come il nostro, lo costringono dal 2014 a vivere sotto scorta per gravi e concrete minacce alla sua vita da parte della mafia ragusana. L’autore fa una disamina attenta dei meccanismi illegali e delle correlazioni tra poteri e mafia, che opprimo la regione nella sua crescita e sviluppo. In questo contesto il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, ha voluto offrire la cittadinanza onoraria al giornalista che, emozionato, ha accettato con grande onore la proposta.

A moderare l’incontro per il nuovo libro di Borrometi è stato il giornalista palermitano, noto anche per le sue inchieste sulla criminalità organizzata, Salvo Palazzolo che ha magistralmente coinvolto ogni relatore senza mai far scemare il coinvolgimento del pubblico. Sul palco del “tempio siciliano del jazz” (il Santa Cecilia è sede della Fondazione Brass Group), insieme a Paolo hanno condiviso esperienza professionale ed amore per la Sicilia anche Renato Cortese (Questore di Palermo), il duo comico formato da Salvo Ficarra e Valentino Picone. La scelta del duo, dice Palazzolo, è data dal loro impegno nel raccontare la sicilianità, con le sue contraddizioni ed i suoi splendori, ma soprattutto dalla loro capacità di raccontarne fedelmente il carattere.

Non sono mancate alcune letture tratte dal libro “Un morto ogni tanto”, affidate alla vibrante interpretazione dall’attrice ragusana Anita Indigeno. È una domenica qualunque quella del 16 aprile 2014 – racconta Borrometi – ma una domenica che non potrà mai dimenticare. Una di quelle esperienze che “lasciano il segno”, questa volta letteralmente, perché quel giorno Paolo subisce un agguato in cui viene selvaggiamente picchiato e lasciato sanguinante, riverso sulla strada. La causa? Far bene il suo lavoro, informare sui misfatti che i mafiosi compiono nei territori in cui agiscono, sui segni profondi che questi persone, abituate a vivere sulle spalle degli altri, ai margini della società civile, lasciano sulla pelle delle persone oneste.

Economia, welfare, ambiente, sanità, l’intero sistema sociale viene danneggiato quotidianamente dalle mafie. “Serve una coscienza civile collettiva, cercare la verità e non voltarci dall’altra parte. Inutile ricordare le vittime di mafia se poi non agiamo coerentemente con la nostra coscienza. Questo vale ancor più per i giornalisti che svolgono, con la loro professione, un’importante funzione sociale” dice Borrometi, ripercorrendo alcune tappe della sua vita privata fortemente legata alla sua attività professionale. “Ne colpiscono uno per toccarne cento” è questo il messaggio che l’autore vuole condividere quando parla del significato che lui stesso dà alle minacce ricevute “un messaggio che tramite me vuol colpire l’intera categoria intimidendola. 19 sono quelli che oggi vivono sotto scorta per far bene il proprio lavoro, 9 i giornalisti uccisi dalla mafia, di cui otto in Sicilia”. Tra questi non è mancato il ricordo di Giovanni Spampinato, giornalista de L’Ora, ucciso a Ragusa, il 27 ottobre ’72. Indimenticabili le sue inchieste sui rapporti tra estrema destra e criminalità organizzata.

Presenti tra i tanti intervenuti anche papà e mamma Borrometi, che non celano l’emozione ed il dolore durante il racconto del figlio per le percosse subite e lo stato d’animo con cui ogni giorno affronta la vita sapendo di essere esposto al rischio concreto di cadere vittima di un agguato. Il prefetto ed il sindaco di Palermo, in prima fila dall’inizio alla fine dell’evento, sono una presenza che dà forza e sostegno al lavoro che ogni giorno compiono tanti giornalisti in Italia. Con loro, ad ascoltare Paolo, autorità, giornalisti, attivisti dei movimenti per la legalità e tanti cittadini, tra questi un gruppo di parenti di vittime di mafia, instancabili e sempre in prima linea nella lotta alla mafia attraverso la sensibilizzazione dei cittadini di ogni età. In particolare, con i giovanissimi che devono crescere con maggiore coscienza sociale. Graziella Domino, Massimo Sole, i coniugi Agostino, tutte famiglie che raccontano una storia di silenzi, di una terra che ha temuto ed ancora, seppure in modo molto minore, teme le ritorsioni mafiose. Sì, perché la mafia non dimentica -ricorda Borrometi- ma è la solitudine ad uccidere ancor prima che la pistola, se non si è soli si è più forti e si lotta con maggiori risultati.

Non manca un momento in cui viene discusso il problema delle recenti scarcerazioni dei vecchi capimafia. Del rischio che questi, fermi nel ricordo di una Palermo che non esiste più, possano tentare una nuova scalata al potere, e magari con metodi di un tempo. È Valentino Picone ad offrire una rincuorante riflessione sul fenomeno: “io penso che forse loro sono fermi agli anni ’80, ma i palermitani invece sono andati avanti, crescendo e migliorando”.

Il Questore di Palermo, con una visione positiva della Palermo d’oggi ed ancor più di quanto questa città sarà capace di migliorare in futuro, coinvolto dal moderatore, interviene sottolineando l’importanza di una stampa libera. Sulle mafie, Cortese, con la sua consueta fermezza, conferma la necessità del mantenere monitorato il territorio. Bisogna stare attenti, perché la consapevolezza di quanto la mafia sappia e possa intervenire nella vita di ciascuno, attraverso il controllo degli equilibri economici di un territorio, degli scambi di merci, deve farci capire che anche chi non è direttamente vittima di atti delittuosi, sarà comunque indirettamente vittima di un sistema corrotto. I costi dell’illegalità ricadono sui cittadini. Basti pensare alle opere pubbliche, un esempio ne è l’autostrada Salerno- Reggio Calabria i cui lavori, pilotati “a tavolino” tra i mafiosi calabresi, sono aumentati vertiginosamente a danno delle tasche di tutti. Il prezzo della corruzione è pagato dall’intero sistema paese. – Continua Cortese – ci sono realtà, piccoli paesi dell’entroterra, in Calabria come in Sicilia, in cui le persone non sono libere nemmeno di poter scegliere a quale muratore far eseguire i piccoli lavori nella propria abitazione, perché soggetti al controllo dei boss di zona. “La mafia – dice il Questore – oggi teme di più i giornalisti, non solo i magistrati, che fanno opera di informazione, denuncia e sensibilizzazione della coscienza sociale. Io credo che se pure il fenomeno sia presente e da tenere sotto controllo, oggi la città vive una coscienza più profonda dei propri diritti e del dovere del contrasto alla mafia”.

Borrometi conclude con una riflessione che centra l’attenzione su un vero e proprio stravolgimento di dinamiche clientelari delittuose e consolidatesi nel tempo. “Oggi, spesso, sono politici ed imprenditori a cercare i mafiosi per il loro personale tornaconto di potere, e non più il contrario”.

Di Mauro Faso

 

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