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NOTE RELATIVE ALLLA CARTUCCIA 9 MM. PARABELLUM

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Sempre più frequentemente si ripropone il problema sui dubbi e le incertezze che ancora oggi, nonostante la normativa ormai chiara, sulla classificazione giuridica della munizione calibro 9 mm. Parabellum, orma pacificamente definibile come “cartuccia per armi comuni da sparo” e non più “munizione da guerra”. A tale proposito si osserva quanto appresso enunciato.

Per effetto della Legge n° 135 del 7 Agosto 2012, al “Banco Nazionale di Prova delle Armi Portatili e delle Munizioni Commerciali” di Gardone Val Trompia (Brescia) vengono affidate in via esclusiva le operazioni di classificazione delle armi presentate dai produttori (o importatori) per essere commercializzate nel territorio nazionale, come si evince dallo stralcio sotto riportato:

“12-sexiesdecies. A seguito della soppressione del Catalogo

nazionale delle armi, il Banco nazionale di prova di cui all’articolo

11, secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110, verifica,

altresì, per ogni arma da sparo prodotta, importata o

commercializzata in Italia, la qualità di arma comune da sparo,

compresa quella destinata all’uso sportivo ai sensi della vigente

normativa, e la corrispondenza alle categorie di cui alla normativa

europea, anche in relazione alla dichiarazione del possesso di tale

qualità resa dallo stesso interessato, comprensiva della

documentazione tecnica ovvero, in assenza, prodotta dal medesimo

Banco. Il Banco nazionale rende accessibili i dati relativi

all’ attività istituzionale e di verifica svolta, anche ai sensi

della legge 7 agosto 1990, n. 241.”

ne consegue che se una qualsivoglia arma camerata in calibro “9 x 19” venisse classificata come “arma comune da sparo” tale qualità transiterebbe “de plano” anche sul munizionamento per la quale l’arma è camerata, cosa che si è regolarmente verificata; si veda l’articolo allegato in pdf,  tratto dal sito della rivista “Armi e Tiro” del 13/01/2013, che dà notizia dell’avvenuta classificazione di una carabina di fabbricazione statunitense marca “Thureon Defense modello SA”, camerata, per l’appunto per la munizione 9 mm. Parabellum, senza alcuna limitazione per la tipologia del proiettile che può essere, quindi, anche camiciato.

Tuttavia ancora appare controversa l’applicazione della nuova normativa e dell’assunto sopra richiamato, giova l’attenta lettura della Sentenza della Suprema Corte – Sezione I n° 52526/214. Che si riporta appresso, da cui si evince che non solo la cartuccia cal. 9 Parabellum e “munizione per armi comuni da sparo” ma che “armi comuni” sono anche le pistole camerate in detto calibro, e che tali rimangono anche se in Italia ne è interdetta la commercializzazione sul mercato per usi civili.

Cassazione, Sentenza 52526 / 2014. Il 9 para e le pistole in 9 para sono armi comuni senza se e ma!

            LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott.

MARIA CRISTINA SIOTTO

Dott. LUIGI PIETRO CAIAZZO

Dott. ADET TONI NOVIK

Dott. GIUSEPPE LOCATELLI

Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI est.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da: RASO ROBERTO N. IL 20/11/1972

avverso la sentenza n. 3865/2005 CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA, del 05/02/2013.

Visti gli atti, la sentenza e il ricorso.

Udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/09/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI

Udito il Procuratore Generale Paolo Canevelli che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza in data 5.02.2013 la Corte d’Appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 7.04.2008 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palmi, appellata dall’Imputato, riduceva ad anni 3 mesi 6 di reclusione e € 1.120 di multa la pena inflitta a Raso Roberto per i reati, unificati in continuazione, di detenzione illegale, porto abusivo in luogo pubblico e ricettazione di una pistola Beretta cal. 9 parabellum con matricola abrasa, costituente arma da guerra, nonché del relativo munizionamento, rinvenuta (il 23.04.2005) in una cella frigorifera del capannone attiguo all’abitazione della sorella dell’imputato nel corso delle ricerche che avevano condotto all’arresto del Raso, all’epoca latitante; la pistola aveva il caricatore inserito e un proiettile nella camera di scoppio, mentre altri proiettili e un altro caricatore venivano rinvenuti sulla persona del prevenuto; la Corte territoriale ha invece assolto il Raso, perché il fatto non è (più) previsto dalla legge come reato, dall’accusa relativa al caricatore (scomputando dalla pena irrogata in primo grado il relativo aumento per la continuazione), sul presupposto che lo stesso non può più considerarsi parte di arma in base alla definizione contenuta nella norma sopravvenuta di cui all’art. 2 D.Lgs. n. 204 del 2010.

Pacifica la materialità dei fatti, la Corte territoriale ribadiva la natura di arma da guerra della pistola in questione, da valutarsi sulla base dei parametri normativi nazionali che valorizzano la spiccata potenzialità offensiva dell’arma, confermata dalla sua dotazione alle forze di polizia che ne attesta l’idoneità all’uso bellico (secondo una circostanza riscontrata dalla presenza della lettera Z nell’ultima cifra della matricola, rivelatrice della destinazione della pistola alla polizia penitenziaria).

Ricorre per cassazione Raso Roberto, a mezzo dei difensori, deducendo due motivi di censura.

Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 161, 171, 177 cod.proc.pen., censurando l’omessa notificazione all’imputato dell’avviso dell’udienza fissata per il giudizio d’appello, che non era stata eseguita presso il domicilio eletto (in Mazzano Romano) al momento della scarcerazione.

Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge in relazione agli artt. 1 e 2 della legge n. 110 del 1975, con riguardo all’errata qualificazione della pistola semiautomatica calibro 9 x 19 – la cui potenzialità offensiva era stata affermata dalla Corte territoriale sulla base di criteri astratti tratti dalla relazione del RIS e non già accertata in concreto – come arma da guerra anziché come arma comune da sparo; rileva che con D.M. 21 maggio 1990 l’arma in questione era stata inserita nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.Il primo motivo di ricorso, che deduce una nullità riguardante la citazione in giudizio deil’imputato che si sarebbe prodotta nel giudizio d’appello (e perciò deducibile mediante ricorso per cassazione), è infondato e deve essere rigettato. Dall’esame del fascicolo processuale, al quale questa Corte è legittimata ad accedere allorché (come nel caso di specie) la violazione di legge dedotta nel ricorso si risolva in un error in procedendo ai sensi dell’alt. 606 comma 1 lett. c) del codice di rito (essendo in tal caso la Corte di cassazione giudice del fatto processuale: Sez. Un. n. 42792 del 31/10/2001, Rv. 220092; Sez. 1 n. 8521 del 9/01/2013, Rv. 255304), risulta che la notificazione del decreto di citazione per il giudizio d’appello è stata inizialmente tentata, il 5.01.2012, presso il domicilio dichiarato dall’imputato in Mazzano Romano, dove la stessa non è andata a buon fine in quanto il Raso risultava “trasferito”, come attestato nella relativa relata; la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, divenuta impossibile nel domicilio dichiarato dalla parte (per fatto ascrivibile alla stessa), è stata pertanto ritualmente eseguita (per la nuova udienza alla quale il processo era stato rinviato) nelle forme dell’alt. 161 comma 4 cod.proc.pen., mediante consegna di copia al difensore, così da escludere qualsiasi paventata nullità della citazione e degli atti successivi del processo di secondo grado.

Il secondo motivo di ricorso è invece fondato, nei termini e per le ragioni che seguono.

L’orientamento tradizionale di questa Corte, da ultimo ribadito da Sez. 1 n. 16630 del 14/03/2013, Rv. 255842, e da Sez. 1 n. 12737 del 20/03/2012, Rv. 252560, secondo cui, anche dopo la modifica apportata all’alt. 2 della legge n. 110 del 1975 dall’alt. 5 comma 1 lett. a) D.Lgs. n. 204 del 2010, la pistola semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum, e le relative cartucce, sono da considerarsi arma e munizioni da guerra, sul duplice presupposto della spiccata potenzialità offensiva e della destinazione esclusiva alla dotazione delle forze armate e dei corpi armati dello Stato, deve essere rimeditato alla stregua delle considerazioni e degli argomenti che seguono.

Il criterio della spiccata potenzialità offensiva, che caratterizza la definizione normativa delle armi da guerra (e delle munizioni destinate al loro caricamento) contenuta nell’art. 1, commi 1 e 3, della legge n. 110 del 1975, come requisito tipico e individualizzante dell’appartenenza del modello di pistola in oggetto alla categoria delle armi da guerra (o tipo guerra), è contraddetto e messo in crisi dalla pacifica qualificazione normativa come arma comune da sparo della pistola semiautomatica calibro 9 x 21, liberamente commerciabile come tale (nell’ovvia osservanza della normativa di pubblica sicurezza) sul mercato interno, che costituisce un modello di arma corta da fuoco munita di caratteristiche tecniche e di capacità balistiche pressoché identiche (se non addirittura superiori) a quelle del modello 9 x 19, rispetto al quale l’unica differenza è rappresentata dal fatto di essere camerata per le cartucce cal. 9 x 21 IMI, dotate di un bossolo più lungo di 2 mm e di una potenza di sparo certamente non inferiore a quella della cartuccia 9 x 19 parabellum (che costituisce, in generale, una delle cartucce per pistola più diffuse e utilizzate al mondo, anche al di fuori dell’Impiego militare e da parte delle forze di polizia, perché unisce una traiettoria piatta a un moderato contraccolpo e a un discreto potere d’arresto, oltre ad avere un costo economico contenuto).

L’esclusione dell’intrinseca potenzialità offensiva, tipica del munizionamento per armi da guerra (o tipo guerra, secondo la definizione contenuta nell’art. 1 comma 2 della legge n. 110 del 1975), della cartuccia cal. 9 x 19 parabellum è confermata dall’esistenza e dalla commerciabilità sul mercato italiano di munizioni per arma comune da sparo dotate di una superiore capacità di offesa alla persona (come il calibro 357 magnum 9 x 33 mm R), liberamente detenibili da soggetti privati nel rispetto della normativa di pubblica sicurezza, nonché – soprattutto – dalla circostanza che armi lunghe da fuoco camerate per cartucce del medesimo calibro 9 x 19 parabellum, come la carabina Thureon Defense di fabbricazione USA, hanno recentemente ottenuto dal Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia la certificazione di armi comuni da sparo importabili e commerciabili in Italia.

La conclusione, che ne consegue, per cui la qualificazione in termini di arma da guerra della pistola semiautomatica camerata per l’utilizzo di munizionamento cal. 9 x 19 parabellum non può discendere da un – inesistente – carattere intrinseco della stessa come arma destinata, in forza di una naturale potenzialità offensiva, all’Impiego bellico, trova riscontro, sul piano normativo-sistematico, nel fatto che la relativa disciplina è contenuta non già nell’art. 1 della legge n. 110 del 1975 (che definisce, come si è visto, le armi da guerra, le armi tipo guerra e le munizioni da guerra), ma nel successivo art. 2, che definisce le armi e le munizioni comuni da sparo, prevedendo – al comma 2 – il divieto di fabbricazione, di introduzione nel territorio dello Stato e di vendita del relativo modello di armi corte da fuoco “salvo che siano destinate alle forze armate o ai corpi armati dello Stato, ovvero all’esportazione”, così presupponendo che, in mancanza di tale divieto, le armi stesse sarebbero altrimenti commerciabili nello Stato secondo la disciplina delle armi comuni da sparo (posto che, se si trattasse di armi da guerra rientranti nella definizione dell’art. 1, l’importazione in Italia e la vendita ai soggetti privati sarebbe di per sé inibita dalla relativa qualità, senza la necessità di stabilire un apposito divieto al riguardo).

Il divieto assoluto, stabilito dalla normativa nazionale per i soggetti privati, di acquistare, detenere e portare (con le debite autorizzazioni) il modello di pistola calibro 9 parabellum è dunque funzionale ad assicurarne la destinazione esclusiva alla dotazione delle forze armate e dei corpi di polizia, e prescinde da una presunta qualità e natura intrinseca di arma da guerra dovuta a una (inesistente) maggiore potenzialità offensiva delle cartucce 9 x 19 parabellum, il cui impiego sarebbe altrimenti – indifferentemente – proibito anche per le armi lunghe da fuoco: la relativa disciplina assolve così la funzione, non già di tutelare la sicurezza pubblica inibendo la disponibilità ai soggetti privati di un’arma (e di un munizionamento) dotati della spiccata pericolosità e azione lesiva tipiche delle armi da guerra (che la pistola calibro 9 parabellum si è visto non possedere), ma di consentire – o per converso di escludere – l’immediata riferibilità, in termini di tendenziale certezza, all’azione delle forze armate o di polizia, in caso di sparo o conflitto a fuoco, dei bossoli dei colpi esplosi da armi corte il cui calibro corrisponda (o viceversa non corrisponda) allo specifico modello della pistola di servizio in dotazione esclusiva ai corpi armati dello Stato (posto che la similare cartuccia cal. 9 x 21 IMI, proprio a causa della maggiore lunghezza del bossolo, è impossibile da camerare sulle pistole munite di una camera di scoppio lunga solo 19 mm).

La destinazione, per quanto esclusiva, all’armamento delle forze armate e dei corpi armati dello Stato (italiano) non può pertanto assumere, nel caso della pistola semiautomatica calibro 9 parabellum, alcun ruolo decisivo ai fini della sua classificazione e qualificazione giuridica come arma da guerra, che – a seguito dell’abrogazione dell’art. 7 della legge n. 110 del 1975 per effetto della novella di cui all’art. 14 della legge n. 183 del 2011, con conseguente soppressione con decorrenza dal 1° gennaio 2012 del catalogo ivi previsto – non è più possibile ricavare, per esclusione, neppure dalla mancata iscrizione nel catalogo nazionale delle armi comuni da sparo.

Un’importanza fondamentale rivestono, invece, agli effetti della risoluzione della questione di diritto inerente alla corretta qualificazione che deve attualmente riconoscersi alla pistola in oggetto, la sopravvenienza della norma di cui all’art. 23, comma 12-sexiesdecies, della legge 7 agosto 2012 n. 135 (di conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 6 luglio 2012 n. 95), che, a seguito della abolizione del catalogo previsto dall’alt. 7 della legge n. 110 del 1975, ha attribuito al Banco nazionale di prova di cui aM’art. 11 comma 2 della medesima legge la competenza a verificare, per ogni arma da sparo prodotta, importata o commercializzata in Italia, la qualità di arma comune da sparo, nonché le conseguenti determinazioni che sono state adottate dal suddetto Banco nazionale di prova in attuazione dei nuovi compiti assegnati dalla legge nella procedura per la classificazione e il riconoscimento delle armi comuni da sparo.

In particolare, per quanto qui interessa, deve essere richiamata la deliberazione, pubblicata sul sito internet ufficiale del Banco nazionale di prova di Gardone Valtrompia, adottata all’esito della riunione del consiglio di amministrazione del 1° marzo 2013 e approvata dal Ministero dello sviluppo economico in data 19 aprile 2013, che, con specifico riguardo alle armi da fuoco corte semiautomatiche calibro 9 x 19 parabellum, dopo aver dato atto che la normativa nazionale di cui all’alt. 5 D.Lgs. n. 204 del 2010 ne consente “la fabbricazione e l’esportazione secondo la normativa delle armi comuni”, ma “tuttavia ne vieta la commercializzazione in Italia ai soggetti privati”, ha precisato che “per evitare equivoci” (come testualmente recita la risoluzione) le armi stesse non saranno inserite nell’elenco delle armi classificate, ma che sul certificato di prova rilasciato al produttore/importatore il Banco dichiarerà che si tratta di “arma comune non commercializzabile in Italia”.

Alla stregua di tale ultima determinazione proveniente dall’ente istituzionalmente deputato a verificare la qualità di arma comune da sparo delle armi da fuoco prodotte o importate in Italia, non è dunque più possibile dubitare della qualità di arma comune da sparo che deve riconoscersi, sul piano normativo, alla pistola semiautomatica calibro 9 x 19, camerata per le munizioni cal. 9 parabellum, il cui inserimento nell’elenco delle armi commercializzabili in Italia ai soggetti privati è inibito soltanto dal divieto normativo – contenuto nell’alt. 2 comma 2 della legge n. 110 del 1975 – che ne riserva la destinazione d’uso alle forze armate e ai corpi armati dello Stato, e non dalla natura e qualità intrinseca del modello di pistola in oggetto, che è e resta quella di un’arma comune da sparo; e tale conclusione, coerente e consequenziale a tutte le considerazioni che precedono, è condivisa e recepita da questa Corte.

Deve dunque essere affermata la natura di arma comune da sparo della pistola Beretta cal. 9 (x 19) parabellum sequestrata all’imputato e la conseguente natura di munizioni per arma comune da sparo delle relative cartucce cal. 9 (x 19) GFL Luger, costituenti la naturale dotazione dell’arma da fuoco in questione e prive delle caratteristiche di micidialità e di forza dirompente che costituiscono il discrimine per poterle qualificare come munizionamento da guerra (vedi Sez. 1 n. 9068 del 3/02/2011, Rv. 249874); ciò comporta che la detenzione delle cartucce deve essere riqualificata nella violazione dell’alt. 697 cod. pen., con conseguente maturazione del tempo massimo di prescrizione del reato contravvenzionale, che (in base alla normativa applicabile con riferimento all’epoca del fatto, antecedente la novella di cui alla legge n. 251 del 2005) è di quattro anni e sei mesi decorrenti dal 23.04.2005, mentre il relativo porto risulta penalmente irrilevante (vedi Sez. 1 n. 12941 del 29/01/2014, Rv. 259545, secondo cui la condotta di porto di munizioni per armi comuni da sparo non è sanzionata da alcuna previsione incriminatrice).

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio in relazione alla detenzione delle munizioni, perché il reato, come sopra riqualificato, è estinto per prescrizione; in relazione alle restanti imputazioni di cui agli artt. 2, 4 e 7 della legge n. 895 del 1967 (come novellati dagli artt. 10, 12 e 14 della legge n. 497 del 1974), e di cui all’alt. 648 cod. pen., riguardanti la detenzione illegale, il porto abusivo e la ricettazione della pistola, aggravate dalla recidiva reiterata specifica infraquinquennale contestata in rubrica e ritenuta dai giudici di merito, per le quali la prescrizione non è maturata né ai sensi della previgente che dell’attuale normativa, la sentenza impugnata deve invece essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria, per un nuovo giudizio limitato alla rideterminazione della pena base per il reato che sarà individuato come più grave a seguito della riqualificazione come arma comune da sparo della pistola oggetto delle condotte incriminate, nonché agli aumenti di pena per le aggravanti e per la continuazione, fermo restando il giudizio definitivo di colpevolezza dell’imputato per i relativi reati.

P.Q.M.

Ritenuta la pistola di cui al capo 1 arma comune da sparo, annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione alla detenzione delle munizioni perché estinto il reato per prescrizione, nonché con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria per la determinazione della pena per le residue imputazioni.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 17/09/2014

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