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Napoli, morire per un presunto caso di febbre a quarantadue anni

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[dropcap size=big]L[/dropcap]a sanità ancora una volta al centro della cronaca nera. È accaduto la mattina dello scorso 6 marzo, a Napoli. Luigi Ruotolo, 42 anni, accusando particolari sintomi febbrili, chiama i soccorsi del 118 che, giunti alla sua abitazione, lo visitano; non riscontrando alcuna emergenza e considerando il malessere del degente curabile con qualche giorno di riposo, vanno via. Avranno pensato “ci chiamano per un po’ di febbre”.
Ma il malessere dell’ l’uomo permane, anzi peggiora. Parte così una seconda chiamata , effettuata sempre in giornata, e l’ambulanza torna sul posto. Avendo accertato l’aggravamento delle condizioni fisiche del Ruotolo, lo trasportano all’ospedale di San Giovanni Bosco, nel capoluogo campano. Qui, la sera stessa, sopraggiungerà la sua morte.
La fine di una storia che solleva diversi dubbi sulle reali condizioni di salute della vittima e sull’operato dei soccorsi; dubbi che spingono i familiari, nelle ore subito successive al tragico evento, a sporgere denuncia contro i soccorritori, presunti responsabili, presso un comando dei Carabinieri del luogo. « Bisogna capire le ragioni di una prima visita tanto superficiale, accertare cause e responsabilità che hanno determinato una morte così assurda», affermano gli avvocati della famiglia Ruotolo. Ancora una volta, una breccia nel “muro” della sanità e delle prestazioni pubbliche essenziali; ancora una volta, l’incompetenza e la superficialità di chi, invece, dovrebbe svolgere le mansioni della propria professione, specie se di carattere sanitario, con estrema accuratezza e diligenza; ancora una volta, l’irrazionale morte di un uomo che può suscitare solo indignazione.
Alessio Maniscalco

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