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La verità sta in cielo ~ Il gusto dell’inchiesta

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I soggetti che Roberto Faenza sceglie sono sempre accattivanti: spesso si affida ad adattamenti letterari per comprendere la storia (Sostiene Pereira, Marianna Ucrìa, I vicerè) o l’attualità (L’amante perduto). Occasionalmente tenta di ricostruire vergognosi casi nazionali, quali l’omicidio di don Puglisi in Alla luce del sole e il fatto di cronaca al centro di questa sua ultima fatica. Malgrado la sparizione della quindicenne Emanuela Orlandi, cittadina vaticana rapita il 22 giugno 1983, sia ancora avvolta dal mistero (il che solleva delle perplessità sulla programmatica incompiutezza di un’operazione comunque approvata dalla famiglia della scomparsa, e qualche suo membro vi partecipa addirittura), il regista e sceneggiatore – che auspica che il suo lavoro, il cui titolo deriva da un’enigmatica ammissione di papa Francesco, contribuisca almeno a riaccendere i riflettori sulla vicenda – si serve di ogni atto depositato e certificato per ricordare e in molti frangenti svelare allo spettatore smemorato o poco informato quanto marciume si celi dietro tale crimine. La ragazza, figlia di un commesso pontificio (all’epoca sul soglio sedeva Wojtyla), fu sequestrata dai malavitosi romani (i “testaccini” più che la Banda della Magliana) per ricordare allo IOR un grosso debito contratto con loro (e non solo). Nell’operazione era coinvolto il famigerato Renatino De Pedis (sullo schermo uno Scamarcio che si confronta una volta di più con quel periodo turbolento), e pure la sua compagna Sabrina Minardi (Scarano, un po’ improbabile in versione invecchiata), ex del calciatore Giordano, ebbe un ruolo, che tra varie contraddizioni provò a raccontare alla tenace giornalista Raffaella Notariale (qui la Lodovini). Gli eventi precipitarono, e soprattutto vennero insabbiati (spesso dalle alte sfere del clero). La raccolta di indizi è sollecitata, nella finzione, dall’inviata di una testata inglese, Maria, sospinta dal suo direttore John (Sansa e Shapiro – sì, proprio il cantante! – incarnano gli unici personaggi inventati).

Faenza ritira fuori – è inevitabile – le grigie figure di Marcinkus, Calvi, Carboni e riassume i loro collegamenti alla faccenda. Le sue intenzioni sono civilmente oneste, tuttavia i risultati, come sovente avviene nel suo cinema, sono discontinui. Se non si può fare riferimento alle pellicole impegnate (e talvolta solo evocative) di Rosi, Petri o, al limite, Damiani, raggiungere i livelli di denuncia del miglior Giuseppe Ferrara (il quale però inseguiva eccessivamente le somiglianze fisiche) è già qualcosa; piuttosto, bisognerebbe evitare le scivolate verso “scompostezze” alla Martinelli. Qualcuna c’è.

La verità sta in cielo (Italia, 2016) di Roberto Faenza con Riccardo Scamarcio, Greta Scarano, Maya Sansa, Valentina Lodovini, Shel Shapiro

di Massimo Arciresi

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KKKKK
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