Ambiente

In Italia (e in Sicilia) di ambiente si muore, ma nessuno ne parla

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Mentre i giornali riempiono le prime pagine di notizie sulle dichiarazioni rilasciate dai leader mondiali a Parigi, in occasione del COP21, la Conferenza delle Parti dell’UNFCCC, nessuno parla di quale sia lo stato dell’ambiente e dell’aria in Italia e, in particolare, in Sicilia.

Un problema che, però, ha ripercussioni rilevanti sulla vita dei cittadini: secondo quanto riportato nel rapporto appena diffuso dall’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) e riferito al 2012, in Italia si sarebbero verificati ben 84.400 decessi “prematuri”, causati dall’inquinamento ambientale. Un numero che pone il Bel Paese al primo posto in Europa dove i decessi di questo tipo sono stati complessivamente 491mila.
Tre le cause principali: le micropolveri sottili (Pm2.5), il biossido di azoto (NO2) e l’ozono, quello nei bassi strati dell’atmosfera (O3), (a cui lo studio attribuisce rispettivamente 59.500, 21.600 e 3.300 morti precoci).

Nonostante le promesse in occasione di eventi internazionali come quello di Parigi, in Europa la situazione dell’ambiente continua a peggiorare. Oggi l’87% della popolazione dell’Ue che vive nelle città è esposta a concentrazioni di micropolveri sottili (Pm 2.5) superiori ai valori raccomandati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). In Italia l’area più inquinata sarebbe la Pianura Padana, con Brescia, Monza, Milano, ma anche Torino.

Dati che cozzano (e non poco) con l’ottimismo dell’ultimo rapporto Istat che ha dichiarato che il numero di città in cui l’inquinamento dell’aria è critico, ma in diminuzione: i centri urbani in cui sono stati rilevati superamenti dei limiti per il biossido di azoto sono passati da 35 a 23.
Resta grave la situazione di molti centri urbani come Frosinone, Torino, Alessandria, Vicenza, Benevento, Cremona, Lodi, Milano, Cagliari e Palermo.

In realtà, in Sicilia, la situazione non è grave solo a Palermo, ma in tutta l’isola. Recentemente a Siracusa il limite tollerato per le polveri sottili è stato superato per 35 giorni (il limite che la legge ha stabilito in base alla tollerabilità umana). “Anche se la Regione non ha ancora predisposto alcun Piano regionale della qualità dell’aria, che è strumento essenziale per mettere in campo misure di contrasto – ha detto l’assessore all’Ambiente Pietro Coppa – noi adotteremo un Piano comunale per la qualità dell’aria che prevede una serie di provvedimenti sul sistema di mobilità e sul traffico”. Come ormai prassi abituale, molte promesse per il futuro e blandi interventi nell’immediato.

Il problema dell’inquinamento è noto da molto tempo, ma nessuno ha mai agito concretamente.
Ormai riguarda tutto il sistema e le politiche locali e nazionali condotte fino ad ora non sono servite a niente. A dimostrarlo sono i dati del XXII Rapporto sulla qualità ambientale dei comuni capoluogo di provincia, Ecosistema Urbano di Legambiente.
Tutte le province siciliane occupano i posti peggiori della classifica finale: ultima assoluta (su 104) Messina, preceduta da Agrigento (103esimo posto) e da Palermo (102esima); solo poco migliore la situazione di Catania (centesima), di Caltanissetta (95esima), di Siracusa (novantaduesima), di Trapani (87esima), di Enna (76esima) e di Ragusa (74esima).

In molti casi mancano addirittura i rilevamenti. Come a Messina e ad Agrigento dove non sono disponibili i dati relativi al biossido di azoto-NO2, alle PM10 e all’ozono.
Un fatto emblematico del modo di prendersi cura dell’ambiente e che è confermato dalla mancanza (sempre secondo lo studio di Legambiente) di altri dati: ad Agrigento e a Caltanissetta non sono disponibili i dati relativi ai consumi idrici domestici (consumi giornalieri pro capite di acqua potabile per uso domestico) né quelli riguardanti la dispersione della rete (intesa come differenza tra l’acqua immessa nelle condotte e l’acqua consumata per usi civili, industriali, agricoli).

Numeri importanti, specie se si pensa che l’emergenza idrica sarà uno dei maggiori problemi ambientali del prossimo futuro e che, già oggi, la carenza di acqua potabile colpisce molte parti della Sicilia (nelle scorse settimane si sono avuti grossi disagi a Messina e in altre province, come nell’agrigentino, il disagio è ormai cronico). Eppure buona parte dell’acqua potabile disponibile va perduta: a Catania, più della metà (il 61 per cento) dell’acqua immessa in rete non arriva ai destinatari e lo stesso avviene a Palermo (il 54,9 per cento). Analoga situazione a Siracusa (dove si perde “solo” il 46 per cento delle risorse idriche), a Ragusa e a Trapani (39 per cento) e a Messina (35 per cento). Eppure nessuno fa niente per risolvere il problema.

Analoga la situazione per ciò che riguarda la gestione dei Rifiuti solidi urbani: nonostante le promesse di ricorrere a sistemi innovativi e di centralizzare la gestione del trattamento dei rifiuti (se ne parla ormai da decenni), le province siciliane appaiono incapaci di effettuare seriamente la raccolta differenziata. A Ragusa la percentuale di rifiuti differenziati raccolti sul totale dei Rsu è di circa il 17 per cento. A Catania l’11, a Trapani non arriva al dieci, a Messina e ad Enna si aggira intorno al 9 per cento. Ancora peggiore la situazione a Palermo, capoluogo di regione, dove la percentuale di raccolta differenziata non riesce a raggiungere nemmeno l’otto per cento. Non disponibili, ancora una volta, i dati di Agrigento e Caltanissetta (ennesima conferma, semmai ce ne fosse bisogno, di quanto si tenga all’ambiente in queste province). Nessuno dei politici siciliani lo dice, ma il decreto Ronchi (che avrebbe dovuto “disciplinare la gestione dei rifiuti”) prevedeva che entro il 2003, almeno il 35 per cento dei RSU dovevano essere raccolti in modo differenziato.
Oggi, la maggior parte delle province siciliane non riesce ancora a raccogliere rifiuti differenziati neanche per un terzo di quanto prevede la legge.
Ben diversa la situazione in altre zone d’Italia, dove si arriva a riciclare l’ottanta per cento e più dei rifiuti (come a Pordenone, a Trento e a Belluno).

Risultati analoghi per l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili (solare fotovoltaico o termico) o per il verde urbano: qualunque sia l’indicatore ambientale, la situazione delle province siciliane è deludente.
E le cose peggiorano se, invece di considerare i dati relativi alle province, si esaminano quelli delle grandi città siciliane. In questo caso, non solo le condizioni sono gravi dal punto di vista ambientale (segno, forse, di una cattiva gestione della cosa comune), ma il fatto più preoccupante è che gli ultimi dati confrontati con i precedenti mostrano un netto peggioramento (con le sole eccezioni di Agrigento, che occupa già la penultima posizione in Italia, di Siracusa e di Enna, che comunque galleggiano nelle parti basse della graduatoria).

Numeri che, al di là delle promesse (a cui non crede più nessuno) fatte dai politici di turno, lasciano poche speranze per il futuro dell’ambiente della Sicilia.

di C.Alessandro Mauceri

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