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ILARIA CERIOLI – “Rita dagli occhi neri”

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«La vita può essere terribile e strana: a molti toglie e a pochi dona. Noi generati per sbaglio e partoriti in case simili a presepi eravamo abituati ad accontentarci di nulla». 

Merita questo attacco lodi per definire eccellente l’intero romanzo: un verso così, sì consentitemi di chiamarlo verso perché “Rita dagli occhi neri” di Ilaria Cerioli non è solo un romanzo. È lirica, lirismo, poesia di vita.

Per cercare il tuo posto nella vita – se sei  sempre vissuta tra Villanova di Bagnacavallo e Villa Prati paese tra Lugo, Ferrara e Ravenna, con le case costruite con canne, fango e malta, ti nasce spontaneo che «Il mio bisogno di sole e di vento era per non morire, così affamata di amore e di vita».

Questo libro prende a pugni i massimi sistemi teorizzati dai tuttologi del nostro secolo perché «Quando nasci cagna, la cucciola più indiscreta e vivace della nidiata, aspettati una vita difficile. Rischi, infatti, di mettere in discussione le regole».

Nell’epoca in cui è ambientato il romanzo – l’’800 – era più facile morire di delinquenza di strada, accoltellati, che per i propri ideali politici. Le parole anarchia, padroni, servi, erano da poco diventate un partito.

Le giovani donne di quei tempi vivevano un’educazione prigioniera di morale, regole e prediche del parroco. Infatti se sei «Senza madre sei come un fiore spuntato tra le erbacce».

Chissà se, in Romagna come altrove, esistono ancora luoghi dove se: «Sei il figlio del padrone, per caso, da volere di più degli altri? Noi in Romagna i padroni e i preti li appendiamo per i piedi, hai capito?»

Rita – Enrica Barbieri all’anagrafe, la protagonista del romanzo di Ilaria Cerioli – è veloce come una faina e cresce precocemente. È anche molto bella, mora dagli occhi neri e, forse, questo, le risulta crescendo un difetto anziché un pregio.

Alternative per donne alla fine dell’Ottocento non ve ne sono perché: «Era il destino di tutte noi: o lavorare immersa nell’acqua fino alla vita con le mondine o nei campi da bracciante». 

Rita – appena sbocciata come donna – è notata e l’incontro con il ventenne paesano Achille Minguzzi è fatale.

<<In paese tutti ricordavano bene il 24 marzo 1897, quando “Rita la pazza”, “Rita l’inganno”, “Rita la furia” è arrivata come la tempesta>> urlando e mostrando il ventre ad Achille.

Il giornale di Lugo del 25 marzo 1897 riporta i fatti:

Una giovane donna che vuole vendicarsi

La giovane Rita Barbieri, di anni diciannove, rimasta incinta da certo Achille Minguzzi, che ripetute volte le aveva promesso di trarla a nozze, decise di interpellare definitivamente l’amante. Costui si schermì, per cui la Barbieri, armatasi di un fucile, sparò un colpo contro il Minguzzi, colpo fortunatamente andato a vuoto. La Barbieri si costituì tosto e disse che non aveva in animo di ucciderlo, ma bensì di deturparlo.

Dare giudizi senza conoscere, uscire dai pregiudizi e dai luoghi comuni, non uniformarsi. Così è Rita Barbieri, una ribelle nata.

Lei, comunque, era <<in preda a una strana follia, in bilico tra verità e menzogna. La verità? Ero sola, disonorata e con un figlio in arrivo>>.

Rita doveva, secondo le regole dei maschi, soccombere alla sua volontà. Invece decide di tenere la creatura che porta in grembo.

È una donna senza certezze però. L’attende un futuro incerto «disonorata, madre sola, femmina abbandonata».

Nessun uomo si sarebbe più avvicinato a Rita perché «sgualcita, provata come si fa con la frutta al mercato (quella che si tasta per capire se è matura non è mai quella che poi si acquista)» era arrivata al limite della sopportazione. Per la ragazza emiliana: «Il dolore dentro era talmente intenso che impazzivo. La notte si era trasformata in giorno e il giorno in ore solitarie davanti alla finestra».

Rita si rende conto che non poteva esserci più posto per lei in questo mondo.

Donne, in quello scorcio di tempo sul finire dell’’800, cresciute assecondando le paure delle madri.

Rita nutre un dubbio perché «se avessi tenuto la creatura mi avrebbero evitata in paese come un’appestata e additata come una puttana.

Soprattutto le donne non avrebbero avuto pietà di me. Quell’esserino il cui cuore aveva iniziato a battere all’unisono col mio era più forte dei pettegolezzi e dell’ingiustizia a cui sarei stata sottoposta. Quel bambino esigeva di nascere. Mi imponeva di rinunciare a essere solo Enrica, detta Rita; avvertivo il cambiamento. Dopo la scissione, mi stavo ricomponendo in una nuova unità. Così le acque del fiume a un certo punto non erano più una tentazione forte. I miei due cuori reclamavano di vivere in un unico cuore».

In conclusione, solo un’incitazione: scrivi Ilaria scrivi, scrivi Ilaria scrivi, scrivi Ilaria scrivi! Sei scrittrice eccellente! Componi da un dettaglio l’intero, dal piccolo all’universale: concreta magia scrittura.

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di Roberto Dall’Acqua

Foto ufficio stampa

Video https://youtu.be/jh_isIcsHJ4?si=9yruBT58UPsDA9tF

https://youtube.com/@segnalazioniletterarie?si=Hwbvyve65vs0UZZ2

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