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“Il Bruco non balla”. Dopo la malattia si ritorna farfalla. La testimonianza diventa speranza

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«Fino a che non ti accorgi che strisciare è solo la fase propedeutica a volare, finché ti ostini a vedere solo il fango senza alzare la testa al cielo per guardare il sole e spiccare il volo, non ballerai mai… di conseguenza non sarai mai felice».

E’ da questa metafora che prende il titolo l’opera di Ivonne Pagliari “Il Bruco non balla”, edito da Aletti nella collana “I Diamanti della Narrativa”. Il libro affronta la dolorosa tematica della malattia, ma non solo. Si parla anche di amicizia, amore, maternità, fede, lavoro, sogni. Ivonne racconta la propria esperienza di vita e la sua personale battaglia al cancro al seno. E’ un esempio di forza e di speranza, perché dinanzi ad una diagnosi impietosa, bisogna aggrapparsi anche alle storie di chi ce l’ha fatta per non cadere nello sconforto.

Anna è nata farfalla e, anche se il destino prova a schiacciarla a terra, con le sue prove e durezze, lei ancora anela al volo. Anche quando la malattia, con accanimento, ne proverà il corpo e l’anima, avvicinandola alla sembianza del bruco, lei si comporterà ancora come una farfalla, perché Anna è nata così; libera, elegante, combattiva. Si batterà contro il fato avverso e lo sfiderà, continuando ad amare, con ancora più forza, la vita. «Se dolorosamente, ti staccherai da tutto ciò che ti tiene incollato al terreno – afferma Ivonne Pagliari, Psicologa del Lavoro e delle Organizzazioni, che vive a Colbordolo di Vallefoglia (in provincia di Pesaro – Urbino) – se ti libererai dalle cose inutili che fanno da zavorra, se ti accetterai per come sei, allora potrai volare». Ivonne ha deciso di mettere nero su bianco la sua storia, la malattia, il dolore, ma anche la speranza, la voglia di rialzarsi, la fede, il potere della preghiera e la grandezza dell’amore. E lo ha fatto spinta dalla volontà di condividere la sua esperienza di vita con l’altro, perché solo condividendo si può gestire la paura.  E’ cruciale il concetto legato all’ascolto; ascoltando le persone, parlando con loro, ma anche semplicemente guardandosi negli occhi, si può scoprire l’anima dell’altro e si può entrare con dolcezza dentro le sue necessità, senza giudicare.

La storia di Anna può essere paragonata a quella di tantissime altre donne. «Il libro – racconta l’autrice – deve far sentire il lettore come davanti ad uno specchio. Le vicende che racconto sono eventi della vita, che tutti in un modo o nell’altro abbiamo affrontato. La differenza la fa con quale spirito le affronta Anna. La fede è il fulcro della sua e della mia vita. Se sono ancora qui, sono sicura che Dio ha per me un progetto». Sebbene il racconto sia autobiografico e con un linguaggio diretto, la presentazione delle vicende avviene da narratore esterno, lucido, che cerca di mantenere un distacco dalla materia. «Tutto ciò – spiega l’autrice, psicologa e direttrice di alcuni CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria migranti) presso un’Impresa Sociale marchigiana – per evitare di impietosire il lettore, perché il fine è raccontare un’esperienza che possa essere d’aiuto agli altri. La ricerca scientifica sta facendo cose inimmaginabili; bisogna dirlo, per continuare a sperare, per educare a sostenerla e per non avere paura, anche se c’è ancora tanto da fare».

La scrittura, come tutte le arti, è considerata, così, terapeutica; l’importante è maneggiare con cura le parole, che possono salvare la vita ma anche uccidere. Ma, soprattutto, la scrittura diventa uno strumento per parlare alla gente e sensibilizzare su tematiche importanti, come la prevenzione. Ne è convinta Ivonne Pagliari, attualmente Testimone della Ricerca AIRC. «Ho scelto di mettere in scena la poesia e i monologhi che avevo scritto; ho girato l’Italia, gratuitamente, chiedendo di poter raccontare, attraverso la poesia e la musica, le donne in tutte le varie sfaccettature. Durante questi eventi (tra cui la nota trasmissione televisiva “L’Eredità”, in onda su Raiuno), si aprivano finestre di dibattito con gli spettatori, e qui ho potuto, e ancora lo farò, parlare di prevenzione come di ricerca scientifica, amalgamando questi temi così sensibili alla storia raccontata nel libro. Le persone hanno bisogno di vedere in faccia chi ha scritto certe parole, vuole capire, raccontarsi a sua volta». E in questi volti si riconosce la bellezza di chi ce l’ha fatta, la bellezza di anime che hanno conosciuto la sofferenza e hanno toccato il baratro, di vite che si fanno dono per gli altri, l’infinita bellezza che risiede nella convinzione di non essere soli e inutili.

Nell’opera, Anna è un esempio di coraggio. È un’eroina, senza la consapevolezza di esserlo. Ha la tempra dell’invincibile: perché dopo le cadute, non si rassegna a strisciare, ma prova con le ali stropicciate a librarsi in volo, sempre e comunque. E quando chiediamo a Ivonne se sia possibile tornare ad essere una farfalla, non ha dubbi: «Sì, certamente, ma solo ad una condizione: mai immaginarsi farfalla, mai sognarsi farfalla! Ma attendere con curiosità quel momento che, inaspettatamente, un giorno, ti permetterà di volare di nuovo. Dopo di che, accettarsi per la nuova farfalla che si è diventati». Ivonne si rivolge, poi, a chi sta affrontando questa battaglia: «Non sei solo, non farti imbrigliare dalla paura, ma con calma affronta la tua malattia un passo dopo l’altro. Affidati a professionisti e amati più che puoi: tu non sei la tua malattia, ma puoi essere il propulsore della tua nuova vita».

Com. Stam. + foto

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