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Giustizia “INGIUSTA” Tra prescrizione del reato e prescrizione di ansiolitici e calmanti

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Il nostro ordinamento giuridico (con riferimento alla materia penale) conosce due tipi di prescrizione.

La prescrizione del reato e della pena.

Entrambe le prescrizioni si fondano sul presupposto che la pretesa punitiva dello Stato si affievolisca fino a scomparire quando sia decorso un determinato periodo di tempo. I due istituti, tuttavia, sono tra loro concettualmente differenziati: la prescrizione di un reato si basa sull’idea che la risposta sanzionatoria ad un fatto di reato, verificatosi ad una certa distanza di tempo, perda le sue ragioni, sul piano general-preventivo (l’oblio rende inutile l’accertamento delle responsabilità); la cosiddetta prescrizione della pena, invece, si ritrae dall’idea che sia incongruo far eseguire una pena nel caso in cui dalla pronuncia del provvedimento di condanna (o dalla sottrazione volontaria del reo all’esecuzione della pena) sia decorso un dato periodo di tempo.

Secondo l’art. 157 del codice penale italiano, il tempo necessario a prescrivere un reato varia in considerazione della pena stabilita. I reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo non sono prescrittibili.

Secondo il “ritocco” più recente (Legge 5 dicembre 2005 n. 251), la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.

In altri ordinamenti funzione diversamente.

In Francia i termini di prescrizione del reato variano in base alla qualificazione giuridica dell’illecito. Il codice di procedura penale stabilisce un termine di 10 anni per i crimini (articolo 7), 3 anni per i delitti (articolo 8) e 1 anno per le contravvenzioni (articolo 9). Nell’ordinamento francese i crimini corrispondono alle infrazioni più gravi di competenza della Corte d’Assise, i delitti alle infrazioni di media gravità di competenza del tribunale correzionale (tribunal correctionnel) e le contravvenzioni alle infrazioni minori la cui competenza è attribuita al giudice di prossimità o al tribunale di polizia (tribunal de police).

In Germania la prescrizione è regolata dal codice penale (Strafgesetzbuch), che distingue tra prescrizione della perseguibilità (Verfolgungsvrjährung, artt. 78-78c) e prescrizione dell’esecuzione (Vollstreckungsverjährung, artt. 79-79b).

I termini di prescrizione della perseguibilità, esclusa nei casi di genocidio e di assassinio, sono di 30 anni per i reati puniti con l’ergastolo, 20 anni per i reati puniti con una pena detentiva massima superiore a 10 anni, 10 anni per i reati puniti con una pena detentiva tra i 5 e i 10 anni, 5 anni per i reati con pene detentive tra 1 e 5 anni, 3 anni per gli altri reati (art. 78).

La prescrizione viene sospesa fino al compimento del diciottesimo anno di vita della vittima nel caso di abusi sessuali nei confronti di minorenni. Nel caso di reati compiuti da membri del parlamento federale o di un organo legislativo di un Land, la prescrizione viene computata a partire dal momento in cui viene avviato (per denuncia o d’ufficio) un procedimento a carico del parlamentare (art. 78b) (in Italia è – e resta – utopico).

La prescrizione viene interrotta nei casi elencati dall’articolo 78c, corrispondenti agli atti tipici dell’autorita giudiziaria: interrogatori, incarichi a periti, sequestri e perquisizioni, ordini di arresto, fissazione di udienza ecc. Dopo ciascuna interruzione, la prescizione ricomincia a decorrere dall’inizio; la perseguibilità è però al più tardi prescritta quando sia trascorso il doppio del termine legale di prescrizione.

L’ordinamento del Regno Unito, com’è tipico della tradizione giuridica di common law, non contempla l’istituto della prescrizione nella forma nota ai Paesi di diritto continentale, ma un limite temporale riferito all’estinzione dell’azione, e non del reato.

I time limits posti dalla legislazione penale per il perseguimento dei reati si applicano, infatti, all’esercizio del potere di proporre l’azione in giudizio; essi rispondono all’esigenza processuale di assicurare, entro un termine ragionevole, l’acquisizione di prove genuine e di garantire all’accusato un “giusto processo” (due process of law) a non eccessiva distanza di tempo rispetto ai fatti contestati.

I limiti temporali, così intesi, si articolano diversamente a seconda della categoria di reato e dei correlati criteri di competenza processuale (dettati dal Magistrates’ Court Act del 1980). La qualificazione legislativa di un determinato reato come summary offence o, rispettivamente, come indictable offence comporta, infatti, la cognizione della Magistrate’s Courts oppure della Crown Court (integrate dal jury). Scriminanti tra i due tipi di reato sono, per un verso, la minore entità del primo e la previsione, per il secondo, di pene detentive non inferiori a tre mesi; per altro verso, la competenza di un giudice monocratico oppure, per il reato più grave, di una corte integrata dal jury.

Nel caso della summary offence, l’azione penale deve essere avviata entro sei mesi dalla perpetrazione del reato, a meno che la legge non stabilisca termini diversi per specifici reati (un esempio recente è costituito dall’estensione dei limiti per il perseguimento di determinati reati urbanistici dal Climate Change and Sustainable Energy Act del 2006, art. 13).

Nel caso della indictable offence (giudicato dalla Crown Court oppure, ove il reato sia “triable either way”, alternativamente dall’una o dall’altra corte), non sussistono limiti temporali alla prosecution. Inoltre, il tempo trascorso senza che il reato sia stato perseguito (staleness) è soltanto uno dei criteri sulla cui base viene valutata la sussistenza dell’interesse pubblico all’esercizio dell’azione penale, anche a distanza di tempo e specie in relazione ai reati più gravi (public interest criteria).

In Spagna la prescrizione del reato può essere vista come un diritto all’applicazione della legge penale in relazione con l’atto illecito commesso da un soggetto. Questo principio comporta un limite temporale al carattere effettivo dello ius puniendi statale, che non può essere esercitato in maniera integrale ed illimitata per tutti i delitti commessi in tempi anche molto remoti.

La prescrizione dei reati è disciplinata dall’art. 131 del codice penale, (De las causas que extinguen la responsabilidad criminal la cui ultima modifica risale al 2003) prevede che i delitti si prescrivono in: 20 anni, quando la pena massima prevista dalla legge è di 15 o più anni; 15 anni, quando la pena massima prevista dalla legge è l’inabilitazione per più di 10 anni o la reclusione per più di 10 anni e meno di 15; 10 anni, quando la pena massima prevista dalla legge è la reclusione o l’inabilitazione per più di 5 anni e fino a 10;  5 anni, quando la pena massima prevista dalla legge è la reclusione o l’inabilitazione per più di 3 anni ma meno di 5; 3 anni negli altri casi. I delitti di calunnia e ingiuria si prescrivono in 1 anno.

Negli Stati Uniti la prescrizione dei reati è sostanzialmente prevista senza un termine massimo inderogabile: se ci sono sufficienti evidenze di prova, il reato può essere sempre perseguito. I tempi della giustizia civile e penale sono resi ragionevoli e cogenti da altre norme e dalla sostanziale efficienza del sistema giudiziario.

Il panorama nei vari paesi europei, come visto, è assai variegato.

L’Italia tuttavia, e non è una novità, in materia ha beccato (l’ultima del 2015) già le sue belle (e consuete) sanzioni dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Ora, sostenere che la prescrizione sia un “vantaggio” per l’imputato è una delle più grosse corbellerie che si possano pensare.

E’ un refrain utile a certi politici poco colti, o opportuno per certi operatori del diritto poco accorti od addirittura in mala fede.

Questa impostazione (come quell’altra che rintraccia negli avvocati i colpevoli dell’incedere del tempo) risente peraltro di una drammatica quanto delirante visione del concetto di imputato che sconvolge ogni principio di “innocenza – o non colpevolezza -sino a prova contraria” .

L’abusato sillogismo vuole che se sei imputato sei per l’80 per cento colpevole e se lo Stato rinunzia a punirti perché non ha fatto a tempo devi baciare a terra ed accendere un cero al tuo Dio.

Degli innocenti, di coloro i quali sono stati tratti a giudizio ma non hanno commesso il fatto, il fatto non sussiste o persino non costituisce reato, vale la pene di fottersene altamente.

Perché, in verità, è ciò che accade (in spregio anche ad un pezzo dell’art 129 c.p. applicato così raramente da pensare che non esista neanche).

Un’occhiata rapida alle cancellerie delle Corti d’Appello, od un paio di mattine in udienza pubblica disvelano subito che le cose non stanno affatto come da troppo tempo la gran parte dell’opinione pubblica crede.

In ciò “erudita” da una informazione al servizio di questa o quella corrente politica o di categoria.

Ciò che in realtà accade (sempre più spesso e sempre con minor controllo apicale) è infatti che quando i tempi tra la commissione del reato e la conclusione del processo di primo grado sono molto lunghi (ed è la norma), il tempo tra la proposizione dell’appello da parte dell’imputato o del PM e la fissazione dell’udienza di secondo grado supera l’anno (ed anche in questo caso è la norma) le Corti si trovano a dover giudicare fatti ed accadimenti penalmente rilevanti (ed a volte assai gravi e ripugnanti) in una manciata di mesi.

La soluzione adottata però è agghiacciante.

Viene ormai troppo spesso disposto un rinvio “per l’eccessivo carico del ruolo” o si fa concludere la pubblica e privata accusa comunicando al difensore dell’imputato che l’arringa difensiva e la decisione saranno previste per un’altra udienza rinviando il processo di altri lunghi mesi (spesso dopo che – appunto – il termine prescrizionale è già maturato).

Questo modus operandi di fatto priva l’imputato (e segnatamente il povero cittadino che il reato non lo ha commesso e che non vede l’ora di dimostrarlo) della chance di un secondo Giudizio di merito da un collegio composto da tre giudici e non uno (come per la maggior parte dei processi).

Certo l’altrernativa c’è.

L’imputato ha sempre il diritto di “rinunziare” alla prescrizione così “costringendo” un Giudice che ha appena rinviato il processo per le ragioni di cui sopra, ad entrare nel merito della questione, studiarsela per bene, e decidere nonostante l’incedere del tempo.

Ma con quale coraggio ci si inoltra in tale pericolosa dinamica che ha in tutta evidenza il sapore di una sfida dove uno dei contendenti è disarmato?

Così accade che un innocente, date le predette circostanze di tempo e di luogo, si trovi “costretto” ad accettare questa dinamica bruciandosi l’opportunità di una seconda valutazione di merito del proprio operato e concludendo un calvario processuale durato quasi otto anni con l’amaro in bocca ed una sentenza in cui lo Stato, lungi dal giudicarlo davvero per quello che è successo, si limita ad “allargare le braccia” perché il troppo tempo ha reso “impossibile” la sanzione.

Che infinita tristezza.

E’ vero le norme sono scritte male, sono poco in linea con i principi della C.E.D.U., necessiterebbero di una seria riforma, ma il sistema Giustizia funziona male, non tutto, non sempre, ma almeno in relazione alla gestione del tempo e del processo funziona male davvero, anzi malissimo.

Non ci si può trincerare dietro l’inettitudine e lo sbandierato disinteresse del legislatore per giustificare questi comportamenti, si può e si deve fare di più.

E ciò è possibile solo ed esclusivamente se si abbandona il “mito” per cui la prescrizione per l’imputato è sempre un “colpo di culo”, perché quando quell’imputato è innocente ha il sacrosanto diritto di essere giudicato in ogni grado di giudizio senza tentennamenti e senza perplessità.

Perché per quest’uomo il tempo può rappresentare una lama sottile e tagliente che lentamente si insinua sotto le carni sino a reciderne le arterie.

Non è bello aver trascorso 7 anni con l’ignominiosa posizione di chi è accusato di un grave reato e poi essere “scagionato” dall’incedere del tempo piuttosto che dallo studio degli atti di accusa e difesa.

Qualcuno – tempo fa – disse che il “sistema Giustizia” non funziona e non deve funzionare, altrimenti la legge sarebbe uguale per tutti e ciò – per carità – non deve accadere.

Ed allora continuiamo a sorridere, fare finta che non stia accadendo nulla, alzare i costi di accesso alla “Giustizia” ad ogni finanziaria, a silurare la Magistratura Onoraria come se non fosse mai esistita, e confidare nella prescrizione, a poco valendo se – per taluni – l’unica utile in tutto questo tempo sarà quella del medico di famiglia e di ansiolitici ed antidepressivi.

Andrea Dell’Aira

KKKKK
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