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FILM: Roma ~ Vita di quartiere

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Nella settimana del semplice ed efficace doc di Moretti Santiago, Italia, del rifinito La casa delle bambole –  Ghostland di Laugier – più che un horror – e del perfettibile eppur idoneo al dibattito La prima pietra di Ravello, perché occuparsi di un prodotto Netflix uscito in guisa di evento (come detta una moda da analizzare) su un numero limitato di schermi per pochi giorni (con significativi prolungamenti di programmazione), coraggiosamente in lingua originale con sottotitoli?

Non già perché ha vinto, fra annunciate polemiche, il Leone d’Oro all’ultimo festival di Venezia – in calcolata controtendenza rispetto a Cannes; però sull’ostinata (e, ormai sappiamo, non inscalfibile) posizione della potente piattaforma, ostile a un preventivo (per quanto potenzialmente soddisfacente) sfruttamento cinematografico dei titoli di sua proprietà, ivi compresi quelli solo distribuiti, ci sarebbe da parlare ancora a lungo, in primis sulle sorti toccate ai lavori di Welles e dei Coen – e sarà sicuramente fra i protagonisti dei prossimi Oscar. E nemmeno perché lo firma Alfonso Cuarón, che dopo le riletture sci-fi si dedica a ricostruire memorie personali anche dolorose (lo script è suo). Il motivo è già fra le righe (precedenti): si tratta di un’opera dal respiro talmente ampio, così curata nei dettagli (dalla fotografia in bianco e nero dello stesso cineasta – inoltre responsabile, con Adam Gough, del montaggio – all’avvolgente surround), da poter essere fruita appieno unicamente in sala. Senza demonizzare una pur accessoriata visione casalinga, per sua natura comunque soggetta a distrazioni varie. È un antico adagio.

La storia si svolge nel quartiere di Città del Messico indicato dal nome del film (che involontariamente ma non del tutto a sproposito richiama un affresco felliniano, benché quello composto dai ricordi infantili sia un altro) all’inizio dei tumultuosi anni ’70 (che irrompono nella sfera intima del racconto). In una famiglia borghese con padrona di casa, Sofía (Marina de Tavira), rassegnatasi all’abbandono del marito e dedita all’educazione dei quattro figli, una delle domestiche, Cleo (Yalitza Aparicio), soffre per la reazione negativa dell’ottuso fidanzato alla notizia della sua gravidanza. Situazioni difficili da accettare per entrambe, che infatti in un certo senso si spartiscono i compiti e l’affetto materni, a scapito di una nascitura incolpevolmente già infamata. Tra episodi quotidiani quasi insignificanti e balzi del simpatico cane Borras, pare che non accada alcunché. Invece, al presentarsi delle svolte narrative (almeno due), ci si ritrova sorprendentemente coinvolti. Al cinema, perlomeno.

Roma (id., Messico/USA, 2018) di Alfonso Cuarón con Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Nancy García García, Jorge Antonio Guerrero, Verónica García

Massimo Arciresi

 

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