Ambiente

COP21 ritardi e opposizione agli indennizzi


Alla fine, sebbene un giorno di ritardo (significativo, come vedremo), i paesi che hanno partecipato alla riunione del COP21 a Parigi, hanno presentato il documento unico che dovrebbe contenere gli interventi per salvare il pianeta ed evitare che la temperatura media globale cresca troppo. L’accordo prevede che i paesi cercheranno di evitare che l’aumento della temperatura media nei prossimi anni superi 1,5 gradi. Una decisione che potrebbe non essere sufficiente: come ha dichiarato Joachim Schellnhuber, climatologo del Cbe Potsdam Institute for Climate Impact Research, “Se la tendenza non verrà modificata, ci sarà un aumento della temperatura entro fine secolo di oltre 5 gradi centigradi”. Inevitabilmente, il riscaldamento globale antropogenico, oltre alla variabilità climatica naturale, causerà cambiamenti nel territorio che in moti hanno cercato di definire, ma che, nel migliore dei casi, potrebbe avere conseguenze terribili. Le previsioni meno catastrofiste parlano di rischio concreto che la temperatura aumenti di tre gradi centigradi. Ma diversi studi scientifici dimostrano che anche un aumento di soli due gradi avrebbe conseguenze gravi (con innalzamento del livello dei mari che causerebbe la scomparsa di molte città costiere, come Napoli o Venezia, in Italia). Per evitare tutto ciò sarebbero necessari interventi più drastici.
Il problema è che, ad oggi, nessuno garantisce che i paesi manterranno le promesse fatte. Innanzitutto è bene ricordare che quello sottoscritto è un protocollo e, come tale, non è vincolante a livello locale. Perché i paesi lo facciano saranno necessarie due condizioni: che almeno di 55 paesi legiferino in tal senso, e, e qui sta il nocciolo della questione, che questi rappresentino complessivamente non meno del 55 per cento delle emissioni globali di origine antropica (art. 21 del protocollo sottoscritto). Ciò significa che potrebbero passare molti anni prima che le promesse diventino vincolanti e ancora di più prima che si cominci ad operare seriamente (in occasione del COP di Kyoto, furono necessari ben otto anni per raggiungere questa soglia). E, nel frattempo, i paesi potranno continuare a distruggere l’ecosistema. Ad oggi, ad essere responsabile di oltre il 50 per cento delle emissioni di anidride carbonica nel pianeta è solo 10 per cento della popolazione. Per contro, la metà più povera della popolazione mondiale – circa 3,5 miliardi di persone – ne produce solo il 10 per cento (pur essendo vittima di alluvioni, siccità e altri cataclismi legati alle emissioni dei paesi industrializzati). A confermarlo è il rapporto Disuguaglianza climatica dell’Oxam. “I cambiamenti climatici e la disuguaglianza economica sono indissolubilmente legati tra loro, e insieme rappresentano una delle maggiori sfide del XXI secolo”, ha dichiarato Elisa Bacciotti, direttrice del dipartimento Campagne di Oxfam Italia. Ma non basta. In media, una persona che rientra nell’1 per cento più ricco della popolazione mondiale è responsabile di emissioni di carbonio 175 volte superiori rispetto ad un cittadino che rientra nel 10 per cento più povero. Una disuguaglianza che, grazie al famigerato articolo 21 del protocollo sottoscritto, non potrà che aumentare. Uno dei principali motivi che ha causato ritardi nella scrittura dell’accordo è quello dei risarcimenti climatici per le perdite e i danni irreparabili (loss and damage) subìti dai Paesi vulnerabili a un cambiamento climatico innescato dalle economie avanzate. Se il COP21 si è concluso con un giorno di ritardo, è stato principalmente a causa dell’opposizione di paesi come gli Stati Uniti d’America e quelli dell’Ue ad accettare una qualsiasi forma di indennizzo da parte dei paesi poveri, spesso vittime innocenti dei cambiamenti del clima causati da pochi. Ebbene, secondo quanto scritto nell’accordo firmato ieri (artt. 48/52) non esiste una clausola vincolante sul rispetto dei diritti umani. Ciò significa che in base a quanto firmato al termine del COP21 (che, per il loss and damage, rimanda al COP di Varsavia) non esiste “non comporta o fornisce per qualsiasi responsabilità o compensazione” (art.52). Anche dal punto di vista demografico ad averla vinta sono stati i paesi maggiori responsabili dell’inquinamento globale. Una delle principali cause dei flussi migratori di milioni di persone (oltre alle guerre e al land grabbing) sono proprio i cambiamenti climatici causati dall’inquinamento del pianeta. L’unica iniziativa in tal senso prevista, dopo gli incontri di Parigi, (e per di più “non vincolante”) è prevede l’istituzione di una task force che “sviluppi raccomandazioni per evitare, ridurre al minimo e affrontare” le migrazioni relative agli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Nient’altro. Sono questi i risultati dell’incontro sull’ambiente organizzato dalle Nazioni Unite. I paesi maggiori responsabili dell’inquinamento del pianeta continueranno ad inquinare (un pochino meno, ma non abbastanza da evitare che la situazione creata negli anni passati continui a peggiorare). I paesi in via di sviluppo (come Cina e India) continueranno ad emettere sostanze inquinanti nascondendosi dietro la giustificazione che a causare i maggiori danni in passato non sono stati loro. I paesi più piccoli, anche quelli che più di tutti hanno a cuore l’ambiente e che hanno adottato politiche ecosostenibili hanno avuto l’ennesima conferma che il loro peso a livello globale è quasi irrilevante. Infine, la maggior parte dei paesi “poveri”, quelli in cui vive la maggior parte della popolazione mondiale, hanno avuto la conferma che dovranno continuare a subire le conseguenze dell’inquinamento causato da meno del 10 per cento della popolazione mondiale e non potranno neanche chiedere loro di scusarsi…..
Ma di questo molti dei media hanno dimenticato di parlare.

di C.Alessandro Mauceri

KKKKK
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