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Café Society ~ Nella Hollywood che fu

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Molti asseriscono che il cinema di Woody Allen (il quale scrive da solo le sue sceneggiature dal 1995) sia da anni statico e che, sostanzialmente, non sia più in grado di raggiungere i picchi a cui l’autore newyorkese ci aveva abituato. Questione di punti di vista. Se da un lato alcuni suoi temi, dagli amori contrastati all’invadenza della religione nella vita degli individui, fino all’incanto (ingannevole?) della settima arte, appaiono in effetti abbastanza usurati (per non dire che accusano un affaticamento forse fisiologico) e ormai il gioco – anche per gli ancor numerosi ammiratori – consiste nel cogliere i riferimenti più forti all’interno della sua fittissima filmografia (si veleggia verso le cinquanta regie), il livello qualitativo permane alto. Nel caso specifico, è impossibile non pensare alle cene familiari di Radio Days (pure quello raccontato fuori campo dallo stesso Woody) o alle atmosfere malavitose di Pallottole su Broadway, benché l’ambientazione dell’uno fosse leggermente posteriore e l’epoca in cui è calato l’altro appena anteriore; e non c’è dubbio che la struttura narrativa sia accostabile, per l’elegante intreccio di flashback, a Blue Jasmine, tanto per citare un “classico moderno” del cineasta. Ciò non toglie che si tratti, costantemente, di variazioni ricche di argomenti, di osservazioni filosofico-letterarie, di humour pungente e – nessuno lo nega – di rivisitazioni stilistiche; sono opere tecnicamente rifinite e, in generale, ben recitate. Di quanti riconosciuti maestri in (fervente) attività si può dire altrettanto?

La trama si sofferma sulle tribolazioni di un giovanotto (Eisenberg, già in To Rome with Love) giunto da New York nella favolosa Hollywood dei Trenta, finalmente considerato dallo zio (Carell, sostituto di Bruce Willis e presente nel cast di Melinda e Melinda), agente delle star che gli assegna qualche lavoretto e lo affida alla graziosa assistente (Stewart, che affianca il protagonista per la terza volta nella sua carriera), di cui il ragazzo, tra vari abusati impedimenti, non può che innamorarsi. Fra tutte queste collaborazioni reiterate (non dimentichiamo Parker Posey, vista nel precedente Irrational Man e qui nel ruolo della procacciatrice di modelle), le vere novità sono il passaggio al digitale e le prestigiose, e un po’ esibite, luci di Vittorio Storaro (un debutto in assenza di pellicola perfino per lui). E, al di là di qualche superflua deformazione dell’inquadratura, i risultati sono buoni e aggirano la minacciata sterilità. Per gli amanti delle statistiche farlocche: è il sesto lungometraggio consecutivo di Allen a mantenere il titolo originale in Italia.

Café Society (id., USA, 2016) di Woody Allen con Jesse Eisenberg, Kristen Stewart, Steve Carell, Corey Stoll, Blake Lively

di Massimo Arciresi

KKKKK
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