Evidenza

Alcolismo allarme crescente tra gli adolescenti

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Sono molti i motivi per i quali l’alcolismo, pur con la vaghezza semantica che connotano il termine, occupa una posizione preminente tra gli “oggetti” della psichiatria.
Nella storia della psichiatria l’alcolismo ha costituto un modello di disturbo mentale “esogeno” per eccellenza. Ben prima dell’affermazione del concetto di alcolismo come intossicazione, il ruolo dell’alcol come fattore eziologico di malattia mentale era noto sia al medico londinese Trotter (1804) sia al francese Pinel. Tuttavia ancor prima l’americano Rush (1784) individua un’ alterazione della volontà alla base del “vizio” di bere, anticipando i concetti di “dipsomania” (Bruhl-Cramer) e di “dipsomania periodica” (Esquirol). Così all’inizio del XIX secolo prendono origine i precursori delle categorie diagnostiche di abuso/dipendenza e di disturbo mentale indotto da alcol, focalizzando l’attenzione non solo sui danni dell’etanolo a carico del sistema nervoso centrale, ma anche sulle predisposizione psichica personale al consumo patologico di sostanza, e superando per tale via il pregiudizio morale legato al vizio. Negli ultimi anni si è verificato un drammatico mutamento negli stili di consumo e di abuso di sostanze stupefacenti. Genericamente si è passati, a livello di massa, dal consumo di sostanze ad azione psicotropa sedativa, al consumo di sostanze ad azione psicotropa stimolante. Questo ha messo strettamente in relazione un mutamento generale dello stile di vita e di atmosfera culturale. Alla sostanza stupefacente, oggi, infatti, non viene chiesta tanto la sedazione dall’angoscia, quanto, piuttosto, un incremento nelle performance competitive e nella capacità di inserimento nella società, i cui ritmi sono sempre più adrenalinici. I valori condivisi, a livello globale, nella società occidentale, sono quelli della sovraesposizione, della brillantezza, dello splendore narcisistico e del protagonismo: da questo punto di vista l’alcol è forse la prima sostanza della storia. E, in questo senso, è sorprendente la sua capacità di sopravvivere anche nei periodi di proibizionismo e di trovare la sua collocazione nel continuamente mutevole mondo delle sostanze. Pertanto, oggi, utilizzare una sostanza sedativa è da perdenti, o, quanto meno, non è trendy. Qui si evidenzia subito la prima incongruenza poiché l’alcol, in quanto sostanza sedativa del sistema nervoso centrale, non è andata in soffitta con l’intercorrere delle nuove droghe stimolanti, come è successo invece con l’eroina. In questo senso è mutata drasticamente anche la via di somministrazione, o meglio, di assunzione degli stupefacenti. La bocca, in altri termini e, più in generale l’oralità. La via orale, oltretutto, rimanda simbolicamente ad una certa primordialità animale. Immediatezza e rapida consumazione senza i lunghi e culturalizzati riti dello scioglimento della sostanza e che prescindono dalla tecnica di preparazione (iniezione endovenosa) e dalla perdita di tempo per procurarsi gli strumenti basilari per la trasformazione della sostanza (da soluto a soluzione iniettabile, previo riscaldamento), sono tornate ad essere il canale preferenziale, il più diffuso confine di contatto tra la coscienza e la sostanza: in questo senso l’alcol è una sostanza privilegiata, poiché da sempre la zona del corpo deputata alla sua assunzione è la bocca.
Negli ultimi anni si è osservata una sempre crescente predisposizione tra giovani adolescenti ad anticipare l’età d’esordio del primo contatto con l’alcol, anticipazione che delinea uno spaccato delle volte differente e più complesso del passaggio all’età giovane adulta. Infatti l’interferenza neuro tossica sul normale sviluppo delle aree cerebrali con conseguente maggiore vulnerabilità per la regione frontale, prefrontale corticale e ippocampale, con inevitabili riflessi sulla regolazione emozionale e cognitiva, disquilibri ormonali, alterazioni del normale sviluppo psicofisico adolescenziale, sono condizioni spesso irreversibili. L’intossicazione acuta da alcol negli adolescenti accade molto spesso, ed avviene in maniera più veloce e inaspettata che negli adulti, a causa di fattori fisiologici (immaturo sistema di metabolizzazione dell’alcol, minor massa corporea) e socioculturali (minore esperienza e riconoscimento degli effetti dell’alcol, mancata supervisione parentale). Le conseguenze più comuni dell’intossicazione acuta da alcol nel giovane e nel bambino sono vomito e compromissione dello stato di coscienza sino al coma. Negli adolescenti l’alcol ha minori effetti di sedazione e d’incoordinazione motoria che negli adulti. I danni conici indotti dal consumo di alcol necessitano di numerosi anni per rendersi evidenti. Per tale motivo essi sono raramente osservati nell’adolescente, esordendo tipicamente solo all’inizio dell’età adulta.
Minore è l’età di inizio dell’abuso, più velocemente e severamente compaiono le complicanze croniche.
Sintomi precoci di danno cronico da alcol che possono essere presenti in età adolescenziale sono: mancanza di appetito, dispepsia, calo ponterale, eczema, emicrania, disturbi del sonno. Il consumo cronico di alcol, negli adolescenti, determina una riduzione dei livelli di serotonina, che favoriscono l’istaurarsi di condizioni ansioso-depressive. Si associano pure bassa autostima e difficoltà a raggiungere gli obbiettivi di vita. Anche se in letteratura esiste l’evidenza che l’abuso di alcol e disturbi mentali si aggregano insieme, mancano invece studi, mirati all’età adolescenziale, che indaghino relazioni temporali o causali tra questi due fenomeni. Giovani che bevono abitualmente in grandi quantità sono associati a tratti di personalità impulsiva, estroversa, con chiusura mentale, tendenza a dominare l’altro, disinibizione e scarso controllo comportamentale.
Il bere su base nevrotica è associato a sequele, a lungo termine, più negativa.
Kuntsche definisce un “modello motivazionale” di abuso alcolico: un motivo o una ragione sono condizione necessaria per l’istaurarsi di un disturbo da uso di alcol.
Sono quattro le categorie motivazionali:
1) ricerca di sensazione di benessere e incremento del tono dell’umore;
2) ricerca di ricompense sociali;
3) attenuazione di emozioni negative
4) evitare l’isolamento sociale.

Tali motivazioni possono essere consce o incosce. Motivazioni su base “sociale” si sono viste associate ad abuso moderato. La maggior parte dei giovani viene introdotta all’alcol dai genitori, spesso inconsapevolmente. La prima esperienza alcolica avviene di solito tra 8 e 12 anni.
Un terzo dei bambini tra i 3/4 anni è capace di differenziare bevande alcoliche e non tramite immagini. La maggior parte dei bambini di 6/7 anni ha già sviluppato una propria attitudine verso l’alcol e possiede alcune conoscenze sul suo uso. L’età della prima esperienza alcolica è altamente predittiva per frequenza di uso e uso continuo in adolescenza.
Bambini introdotti all’alcol prima di 6 anni hanno un rischio maggiore di presentare un disturbo da uso di alcol all’età di 15 anni. Studenti universitari che hanno avuto la prima esperienza alcolica durante la scuola elementare bevono di più, ad una frequenza maggiore e con maggiori conseguenze negative rispetto ai controlli. Vi è anche un rapporto di proporzionalità diretta tra quantitativi di alcol assunti e minor frequenza e rendimento scolastico durante gli anni del liceo. Tale rapporto causale però non è stato dimostrato per gli studenti universitari. L’adolescenza è una fase della vita caratterizzata dalla ricerca di autonomia e indipendenza dalle figure di riferimento, processo che porta a maggior integrazione e a maggiore influenza del gruppo dei pari. Caratteristica di questa fase sono la ricerca dell’identità personale e di gruppo, dinamiche di difesa e di integrazione, rito di passaggio. Utilizzo di quantitativi moderati di alcol in età giovanile post-adolescenziale può avere, comunque, un impatto positivo sul piano relazionale. L’alcol, sostanza liquida e miscelabile, quindi, in quanto tale, perfettamente trendy con la velocità di assunzione odierna, sotto questo punto di vista, presenta alcune caratteristiche che ne fanno una sorta di sostanza jolly o passepartout nella variegata galassia delle sostanze vecchie e nuove, dunque un sempreverde, al di là dell’alternanza tra vecchie e nuove droghe. Proprio come una sorta di cursore, l’alcol ha la capacità di forzare lo scorrimento tra i piani strutturali di una persona o, eventualmente, di dissaldare i setti e i sepimenti che separano un’organizzazione strutturale da un’altra. Questa sua azione passepartout rende l’alcol una sostanza particolarmente adattabile a tutte le strutture.
Il fatto che l’alcol, poi, sia una sostanza legale facilita la sua disponibilità e la sua ubiquitarietà, azzerando i gradienti di accesso. Inoltre è socialmente accettata, in quanto facente parte, da sempre, di una “cultura della festa”, nonché una sostanza della “socializzazione” (nom autentica) della tradizione enogastronomica e di cerebrazione di momenti sociali, fattori tutti che ne sottovalutano enormemente la gravità dei danni arrecati all’organismo, a breve ed a lungo termine.

Del Dott. Riino Scrivano

 

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