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Che succede se anche i più ricchi sono in crisi?

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L’Arabia Saudita sta attraversando una delle peggiori crisi economiche a memoria d’uomo. Il deficit 2015 legato alle estrazioni è di 367 miliardi di riyal, pari a circa 87 miliardi di dollari (poco meno di 80 miliardi di euro). Un record negativo storico, pari al 15% del prodotto interno lordo. La causa di tutto ciò è da ricercare nel prezzo del petrolio che è passato da oltre cento dollari al barile di pochi anni fa ai 56 dello scorso gennaio, per scendere nei giorni scorsi sotto i 37 dollari al barile. Fino a pochi mesi fa l’Arabia Saudita esportava sette milioni di barili di petrolio al giorno e le vendite rappresentano il 90% delle entrate fiscali e il 40% del pil.
Inevitabile il ricorso al taglio delle spese e all’aumento dei prezzi della benzina (da 16 a 24 centesimi di dollaro per litro), al rincaro delle bollette elettriche e delle tariffe dell’acqua. Ad aumentare saranno anche le tasse sul consumo di bevande e tabacchi. Per aumentare le entrate il governo ricorrerà anche alla vendita di titoli di stato (fatto insolito per un paese abituato al surplus di bilancio).
Ma la nuova parola d’ordine sarà “diversifichiamo le entrate”. Secondo quanto riportato dalla tv al-Arabiya, il re Salman bin Abdulaziz Al Saud, salito al trono da gennaio, ha ribadito che “il regno è pronto ad attuare programmi per diversificare le fonti di introito e ridurre la dipendenza dal petrolio come principale fonte di proventi”. Non è un caso se uno dei settori economici in crescita è costituito dagli armamenti: il budget per le spese militari è stato aumentato fino alla somma considerevole (specie considerate le dimensioni dell’economia del paese) di 213 miliardi di riyal. Le motivazioni ufficiali sono la sicurezza e la “lotta al terrorismo”.

Deludente anche l’sito dell’ultima riunione dell’Opec, l’organizzazione che riunisce i principali Paesi esportatori. I ministri del petrolio e dell’energia non hanno raggiunto un accordo sul taglio dei livelli di produzione (che avrebbe inevitabilmente fatto lievitare i prezzi) e l’incontro si è concluso con un rinvio al 2 giugno 2016. Una decisione che alcuni analisti hanno interpretato come un sostanziale addio alle quote estrattive.

di C.Alessandro Mauceri

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